Il colza è una pianta a ciclo autunno-primaverile; migliora il terreno per gli abbondanti residui colturali (radici, foglie e steli) che, se ben interrati, assicurano un buon apporto di sostanza organica umificata.
È una buona precessione per il frumento, cosa di non poco conto nelle aziende prive di irrigazione; tuttavia, la coltura non può ritornare con troppa frequenza sullo stesso terreno per problemi di ordine fitosanitario. Pertanto, è necessario che tra una coltura di colza e la successiva ci sia un intervallo di almeno 4 anni per ridurre la pressione dei parassiti a livelli controllabili con costi ridotti.
Viste le piccole dimensioni del seme, è necessario preparare un buon letto di semina. La superficie del terreno non deve essere troppo soffice al fine di evitare che il seme, di piccole dimensioni, venga depositato troppo in profondità in quanto ciò provocherebbe successive difformità nell'emergenza; a questo fine può essere utile una rullatura.
Nell'Italia settentrionale la semina viene fatta in settembre; al Sud fino a novembre, in relazione anche alla possibilità di preparare il letto di semina.
Emerge dal terreno dopo 10-15 giorni con le due foglie cotiledonari; successivamente emette nuove foglie che formano una rosetta. È proprio questo lo stadio di massima resistenza al freddo: è importantissimo quindi che le piantine di colza, all'arrivo dei primi freddi invernali (in genere a dicembre), siano sviluppate in una rosetta di 6-8 foglie completamente formate, con l'apice vegetativo protetto da numerose altre foglioline in via di formazione e un fittone lungo circa 7-9 cm.
In questo stadio il colza resiste anche a molti gradi sotto zero (-15°C), purché non vi siano ristagni d'acqua.
La densità ottimale è di 70-80 piante a metro quadrato. La distanza tra le file varia da 25 a 35 cm.
Considerando che il colza ha un ciclo autunno-primaverile (periodo più piovoso dell’anno) e il suo apparato radicale non è molto profondo, l’aratura può essere piuttosto leggera (30 cm); non è necessario spingersi a maggior profondità, specialmente quando è stata curata la sistemazione idraulica dei terreni.
La lavorazione minima può essere realizzata con diversi attrezzi, a seconda di come si presenta il terreno; in questo caso, però, è necessario asportare la paglia, perché la sua presenza (anche quando fosse stata trinciata) porta ad una eccessiva macroporosità dello strato superficiale del terreno, con conseguente disseccamento delle radici delle giovani piante. Si ricorda, infine, che la lavorazione minima dà i migliori risultati in terreni contenenti almeno il 20% di argille rigonfiabili, cioè quelle che si “autolavorano” crepacciandosi.
Gli elementi maggiormente asportati sono l'azoto e il fosforo, mentre il 90% del potassio asportato durante il ciclo vegetativo ritorna nel terreno con i residui colturali. Fra i tre principali elementi della concimazione, l'N rappresenta per il colza un importante fattore di resa.
Data la vicinanza delle file, la sarchiatura risulta alquanto problematica; pertanto si ricorre al diserbo chimico.
La coltura è pronta per essere raccolta, impiegando la normale mietitrebbia da frumento, quando i semi sono completamente imbruniti e le silique secche (umidità ottimale della granella intorno al 12%). Raccolte tardive sono sconsigliate per il rischio di perdite per deiscenza delle silique; raccolte troppo anticipate fanno sì che il contenuto di clorofilla sia ancora elevato, con peggioramento della qualità.