Biostimolanti, misurare gli effetti per valutare i prodotti
I biostimolanti hanno le potenzialità per rendere l'agricoltura più produttiva e resiliente nei confronti dei cambiamenti climatici. Tuttavia non è sempre facile apprezzarne l'efficacia, per questo è fondamentale il ruolo degli sperimentatori di campo
Negli ultimi anni è cresciuta l'attenzione di agricoltori e tecnici nei confronti dei prodotti biostimolanti. Si tratta di mezzi tecnici, normati dal Regolamento UE 2019/1009 sui fertilizzanti, che hanno diversi scopi, tra cui quelli di aiutare le piante a superare gli stress abiotici, ad esempio causati dei cambiamenti climatici, ottimizzare l'uso dei nutrienti e migliorare le caratteristiche qualitative delle derrate.
Nell'attuale situazione produttiva, in cui agli agricoltori vengono chiesti sforzi crescenti sul fronte della sostenibilità, ma al contempo aumentano i vincoli normativi e i cambiamenti climatici complicano la gestione agronomica, i biostimolanti possono giocare un ruolo importante nel mettere gli agricoltori nelle condizioni di produrre al meglio.
Ma cosa fanno esattamente i biostimolanti e come è possibile misurare la loro efficacia? Di tutto questo si è discusso durante un seminario organizzato da Agricola 2000 e dal Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali - Produzione, Territorio, Agroenergia (Disaa) dell'Università degli Studi di Milano nell'ambito di BIOSTIMOLA, un progetto finanziato da Regione Lombardia sulla base del Programma di Sviluppo Rurale (Psr) - Operazione 1.2.01, che ha come scopo proprio quello di indagare e far conoscere le potenzialità dei biostimolanti.
La realtà dei biostimolanti a portata di campo
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Biostimolanti, cosa non sono
Come ben spiegato dalla professoressa Stefania Toscano, dell'Università degli Studi di Messina, i biostimolanti non sono prodotti per la difesa, aiutando le piante a superare gli stress abiotici, non biotici. Sono quindi utili per gestire eccessi di caldo o di freddo, carenza idrica, stress salino o da irraggiamento solare. Non sono invece utili per contrastare microrganismi patogeni. In secondo luogo, nonostante siano normati dalla direttiva Ue sui fertilizzanti, non apportano direttamente elementi nutritivi, benché possano contenerne, ma possono aiutare la pianta ad assorbire meglio acqua e nutrienti dal suolo.
Infine, i biostimolanti possono aiutare la pianta ad avere produzioni migliori, sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo. Possono quindi concorrere ad aumentare la pezzatura, ad incrementare il grado Brix, ad alzare la concentrazione di antociani o la croccantezza di un frutto. E molto altro ancora.
Ma che cosa può contenere un biostimolante? All'interno di un flacone possono essere presenti acidi umici e fulvici, estratti di alghe e vegetali, idrolizzati proteici, composti inorganici, chitosano, funghi e batteri. Come spiegato da Stefania Toscano, ognuna di queste componenti agisce in maniera differente e spesso non si comprendono bene i meccanismi che stanno dietro all'effetto biostimolante, ma la letteratura è piena di prove che dimostrano la loro efficacia.
Cosa può contenere un biostimolante?
(Fonte foto: Tratta dalla presentazione della professoressa Stefania Toscano dell'Università degli Studi di Messina)
L'effetto biostimolanti nelle prove di campo
L'utilizzo dei biostimolanti su colture stressate in molti casi permette alle piante di raggiungere produzione comparabili con quelle assicurate da piante in condizioni ottimali di crescita. Ma hanno un effetto positivo anche nei confronti delle piante non stressate, che vedono incrementare i livelli produttivi e qualitativi.
La professoressa Stefania Toscano ha illustrato alcuni esempi pratici, facendo riferimento a colture tipiche dell'areale mediterraneo, sempre più sottoposte a stress di tipo ambientale.
La carenza di acqua, ad esempio, provoca nelle piante una diminuzione della fotosintesi, la chiusura degli stomi per risparmiare risorsa idrica e quindi un aumento delle temperature, ma anche un arricciamento delle foglie e uno stress ossidativo. Utilizzando un prodotto a base di proteine idrolizzate su pomodoro è stato possibile avere produzioni in linea con il testimone non stressato, nonostante alle piante fosse fornito il 50% in meno di acqua. Lo stesso è stato fatto con il peperone ed altre colture, registrando sempre performance comparabili con il testimone.
Focus sullo scopo dello studio
(Fonte foto: Tratta dalla presentazione della professoressa Stefania Toscano dell'Università degli Studi di Messina)
Anche la salinità dei suoli sta diventando un problema sempre più serio nell'areale mediterraneo e si stima che un 25% delle aree agricole abbia proprio problemi di salinità. In questo caso è stato fatto un esperimento sulla lattuga, una specie molto sensibile alle acque saline, a cui sono stati forniti glicina betaina e polifenoli al fine di mitigare lo stress.
Ebbene, grazie a questo intervento è stato registrato un aumento di clorofilla e di carotenoidi e un minor accumulo di ioni tossici. Il risultato è stata una produzione delle parcelle trattate con acqua salina e biostimolanti paragonabile a quella delle parcelle trattate con solo acqua dolce.
Anche le alte temperature sono una fonte di stress sempre più comune. Il range ottimale di sviluppo del pomodoro, ad esempio, è intorno ai 25°C, al di sopra dei quali le piante perdono di capacità fotosintetica e iniziano a registrare danni ai tessuti.
Si è voluto dunque testare l'impiego di estratti algali e di collagene animale per verificare la capacità di questi biostimolanti di aiutare le piante a superare gli stress. Anche in questo caso si è registrato un migliore sviluppo delle piante e una migliore attività fotosintetica nelle parcelle trattate, rispetto a quelle non trattate, anche se i prodotti utilizzati hanno probabilmente agito con differenti meccanismi d'azione.
Ruolo dei biostimolanti nel contrastare gli stress abiotici
(Fonte foto: Tratta dalla presentazione della professoressa Stefania Toscano dell'Università degli Studi di Messina)
Non posso conoscere ciò che non misuro
La seconda parte del seminario è stata invece dedicata alle relazioni di Mauro Maddalena, tecnico di Agricola 2000, Davide Guffanti e Cristina Teruzzi, del Disaa dell'Università degli Studi di Milano, che hanno affrontato il tema della sperimentazione in campo.
Cuore dell'intervento è stato illustrare il ruolo cruciale che i centri di saggio giocano nello sviluppo dei prodotti biostimolanti. Il nuovo Regolamento Ue, infatti, impone che per poter indicare determinati claim sulle confezioni sia necessario effettuare delle prove di campo che attestino la reale efficacia dei formulati. Test che possono essere svolti dai centri di saggio e che hanno il fondamentale obiettivo non solo di preparare i dossier di registrazione, ma anche di creare un clima di fiducia all'interno del mercato.
Talvolta infatti è difficile per un agricoltore valutare quale sia il valore aggiunto di un prodotto biostimolante e dunque la convenienza di investire su questo mezzo tecnico. La situazione d'altronde non è semplice. L'efficacia di un biostimolante non solo dipende dalla sua composizione, ma anche dalla coltura su cui viene utilizzato e dallo stadio fenologico, dalle dosi e dal timing di impiego, dalla severità dello stress e dalla sua durata. Basti pensare che molti prodotti dovrebbero essere utilizzati in maniera preventiva per funzionare al meglio e spesso invece vengono utilizzati post evento traumatico, con il risultato di essere scarsamente efficaci.
I ricercatori di Agricola 2000 lavorano sia in camera di crescita che in serra ed in pieno campo per valutare le performance dei prodotti biostimolanti nelle diverse condizioni di crescita. Inoltre, utilizzano diversi strumenti per raccogliere dati e analizzarli.
Oltre alle immagini satellitari, vengono utilizzati dei droni che trasportano due tipologie di sensori: camere RGB, capaci di catturare immagini nello spettro del visibile, e camere multispettrali, che invece raccolgono un numero maggiore di bande. Le immagini possono essere utilizzate per la fenotipizzazione, come ad esempio la misurazione automatica dell'altezza di una coltura, oppure per l'elaborazione di indici vegetativi, quali ad esempio l'NDVI, che fornisce importanti informazioni sul vigore delle piante. Per misurare il contenuto di clorofilla che dipende, tra le altre cose, dalla nutrizione della pianta, viene usato lo SPAD.
Tecniche di valutazione
(Fonte foto: Tratta dalla presentazione di Mauro Maddalena, GEP Biostimulants specialist di Agricola 2000)
Oltre ad utilizzare diverse tipologie di sensori in campo, i tecnici di Agricola 2000 ed il gruppo di ricerca dell'università fanno ricorso anche alle scienze omiche. In particolare, ad analisi trascrittomiche che misurano le alterazioni nell'espressione genica risultanti dall'interazione tra il biostimolante e la pianta, permettendo di intercettare quali pathway biologici vengono alterati. Ma anche ad analisi proteomiche e metabolomiche, che hanno il loro focus, rispettivamente, sulle proteine e su tutti i metaboliti della pianta, e ad analisi di ionomica che permettono di evidenziare la composizione elementare di un organismo in un dato momento.
Focus sulla genomica
(Fonte foto: Tratta dalla presentazione di Cristina Teruzzi, del Disaa dell'Università degli Studi di Milano)
Uno dei campi prova organizzati da Agricola 2000 ha riguardato l'impiego dei biostimolanti per aiutare le piante a superare lo stress da diserbo. Sono state quindi realizzate delle parcelle sperimentali in cui sono stati testati tredici prodotti differenti, andando poi a valutare quali fossero quelli che avevano permesso alla soia di riprendersi più velocemente e meglio dal contatto con le molecole erbicide.
Un'altra prova ha riguardato il mais, con la somministrazione di biostimolanti, sempre per accelerare il recovery dopo il diserbo. Ma prove sono state fatte anche su orticole, quali la patata e lo zucchino, con il fine di mitigare gli stress di tipo ambientale.
L'approccio multidisciplinare del progetto BIOSTIMOLA
(Fonte foto: Tratta dalla presentazione di Mauro Maddalena, tecnico sperimentatore di Agricola 2000)
Biostimolanti, conoscerli per apprezzarli
Quello che è emerso dalla giornata di lavori è che i biostimolanti sono prodotti la cui efficacia dipende da numerosi fattori e dunque il loro è un utilizzo tecnico, per il quale gli agricoltori devono essere formati.
Tuttavia, nonostante non si conoscano ancora appieno i meccanismi d'azione di alcuni composti, è in dubbio che i biostimolanti possono giocare un ruolo nel raggiungere alcuni degli obiettivi dell'agricoltura moderna, quali ad esempio una maggiore resilienza nei confronti dei cambiamenti climatici, un miglior utilizzo delle risorse, quali acqua e fertilizzanti, nonché un miglioramento delle produzioni, sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo.
Per maggiori informazioni sul progetto BIOSTIMOLA è possibile consultare questa pagina, il canale Telegram e la pagina Facebook.
Iniziativa realizzata nell'ambito del progetto BIOSTIMOLA, cofinanziato dall'Operazione 1.2.01 "Progetti dimostrativi e azioni di informazione" del Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020 della Regione Lombardia. Responsabile del progetto è il Disaa dell'Università degli Studi di Milano, realizzato con la collaborazione di Agricola 2000