Urea: una commodity irrinunciabile per la produttività agricola italiana?
Lo stop all'urea dal 2028 può compromettere produttività, qualità e competitività della cerealicoltura nazionale. In occasione dei 40 anni di Assofertilizzanti, presentato uno studio Nomisma che ne mette in discussione il bando

Sostenibilità, produttività, urea e innovazione: l'evento per i 40 anni di Assofertilizzanti (Foto di archivio)
Fonte immagine: © darekb22 - Adobe Stock
Bloccare l'urea per migliorare la qualità dell'aria può sembrare una buona idea. Ma se il risultato è produrre meno, spendere di più e ottenere benefici ambientali quasi nulli, allora qualcosa non torna.
Di questa contraddizione si è discusso durante il convegno "40° Assofertilizzanti" organizzato dall'associazione, e svoltosi all'Auditorium dell'Ara Pacis a Roma dove è stato celebrato l'anniversario e presentato lo studio di Nomisma.
E mentre il dibattito si accende - in un momento chiave per la revisione della Politica Agricola Comune e del Green Deal europeo - la filiera agroalimentare italiana chiede una riflessione seria, fondata sull'innovazione e sulla sostenibilità.
Ad aprire i lavori, in rappresentanza del ministro Francesco Lollobrigida, è intervenuto il deputato Marco Cerreto, che ha ribadito l'impegno del governo a difendere la sostenibilità dell'agricoltura non solo sul piano ambientale, ma anche su quello economico.
"Non siamo contrari agli obiettivi europei - ha detto - ma serve una tempistica realistica: non possiamo permettere che le nostre imprese agricole perdano competitività. Il sistema Paese ha bisogno di tempo, ricerca e coesione per affrontare la transizione".
Urea, un pilastro per l'agricoltura italiana
Lo studio di Nomisma, costruito su modelli agronomici, dati Istat e simulazioni su base pluriennale, racconta una realtà molto diversa da quella spesso narrata.
Oggi l'urea rappresenta il 16% del volume totale dei fertilizzanti distribuiti (Istat 2023), ma garantisce il 44% dell'apporto complessivo di azoto disponibile per le colture. Un apporto fondamentale, reso possibile da un titolo azotato del 46%, nettamente superiore rispetto ad altri concimi.
Ma non si tratta solo di quantità. L'apporto azotato è determinante anche per la qualità del raccolto: dal contenuto proteico dei grani di forza, alla resistenza del mais alle micotossine, o alla lavorabilità del riso. Ecco perché l'urea resta, a oggi, difficilmente sostituibile.
Senza urea, cosa rischia l'agricoltura italiana?
Lo studio ha analizzato anche l'impatto del divieto di utilizzo dell'urea sul piano produttivo, concentrandosi in particolare sulle colture cerealicole.
In uno scenario in cui nel Bacino Padano si producono annualmente circa 4,4 milioni di tonnellate di mais da granella, la diminuzione stimata è del 36% nella produzione, pari a 1,6 milioni di tonnellate in meno ogni anno. Il calo previsto è del 17% per il frumento tenero (su 2,1 milioni di tonnellate), del 25% per il frumento duro (su 551mila tonnellate), e arriva fino al 63% per il riso, che oggi conta una produzione di 1,4 milioni di tonnellate.
Lo scenario peggiora ulteriormente se si ipotizza l'assenza totale di fertilizzanti azotati: in quel caso, i crolli produttivi sarebbero del 61% per il mais, 57% per il frumento tenero, 78% per il frumento duro e 77% per il riso. Con effetti che andrebbero ben oltre la filiera agricola, mettendo a rischio la sicurezza alimentare nazionale e la tenuta competitiva dell'intero sistema agroalimentare.
In assenza di urea, i problemi non riguarderebbero solo un calo delle rese, ma anche una peggior qualità delle produzioni di mais, frumento e riso, con effetti a catena sull'intero comparto cerealicolo. Secondo le stime, il valore della filiera potrebbe contrarsi fino al 45%. E questo in un Paese che già oggi utilizza meno azoto rispetto ai principali partner europei, sia in termini assoluti che per ettaro coltivato.
Ma l'urea è davvero un problema per l'ambiente?
I numeri raccontano un'altra versione. Secondo i dati presentati da Nomisma, sul fronte ambientale, l'impatto dell'urea sulle emissioni di gas serra è minimo: appena lo 0,1% delle emissioni totali italiane e solo l'1,3% di quelle agricole. Numeri che ridimensionano il potenziale beneficio ambientale di un eventuale divieto, sollevando dubbi sulla sua reale efficacia nella lotta al cambiamento climatico.
Anche le emissioni di ammoniaca - spesso citate tra i motivi del divieto - risultano in diminuzione, e nel 91% dei casi dipendono dall'allevamento.
Però alternative efficaci sono già disponibili e testate.
Da anni, infatti, sono disponibili soluzioni tecnologiche applicabili all'urea per ridurne gli impatti: dai polimeri ricoprenti agli inibitori dell'ureasi, molecole innovative in grado di contenere le perdite di ammoniaca fino al 70-80%. Strumenti che permettono di coniugare efficienza agronomica e sostenibilità, senza sacrificare produttività, qualità e competitività.
Scarica lo studio di Nomisma
Dallo studio al confronto tra filiera, politica e industria
Dopo la presentazione del rapporto Nomisma, il dibattito si è spostato sul palco con una tavola rotonda che ha coinvolto rappresentanti del mondo agricolo, istituzionale e industriale. Al centro del confronto, le possibili soluzioni per garantire sostenibilità senza compromettere la produttività.
Un momento della tavola rotonda
(Fonte: Ilenia Caleca - AgroNotizie®)
Dalla Ue alla Pac
Il dibattito sull'urea è solo una parte di una transizione molto più ampia, che chiama in causa scelte strategiche a livello europeo. Dal Green Deal alla nuova Pac post 2027, passando per il principio della reciprocità nelle importazioni.
"Le prossime politiche ambientali vanno costruite non contro, ma con gli agricoltori" ha ricordato Paolo De Castro, presidente di Nomisma che ha sottolineato come il Parlamento Europeo abbia già corretto alcune delle proposte più ideologiche, dal taglio dei fitofarmaci alla direttiva emissioni. "Ma il lavoro - ha aggiunto - non è finito".
Uno scenario in cui la sostenibilità non può essere imposta per decreto, ma va progettata con competenza e visione di sistema.
"L'analisi evidenzia come una gestione non efficiente della fertilizzazione azotata possa generare perdite economiche rilevanti. In particolare, l'ipotesi di un blocco dell'uso dell'urea nel Bacino Padano avrebbe effetti estremamente negativi su alcune colture chiave del nostro sistema agroalimentare. Il mais, ad esempio, è una componente essenziale per sostenere il comparto zootecnico e le grandi produzioni Dop; il frumento costituisce la base delle filiere 100% italiane dei prodotti da forno, dolciari e della pasta; mentre il riso italiano assicura una quota significativa dell'approvvigionamento europeo. Senza soluzioni tecnicamente ed economicamente sostenibili, si rischia di compromettere in modo serio la produttività e la redditività delle aziende agricole dell'area padana, mettendo in discussione il posizionamento competitivo dell'intero sistema agroalimentare italiano, tanto sui mercati nazionali quanto su quelli internazionali" ha proseguito De Castro.
Complementarietà e innovazione: il punto di vista di Assofertilizzanti
"L'industria dei fertilizzanti gioca un ruolo fondamentale per garantire la sicurezza alimentare del nostro Paese e crediamo che una gestione sempre più razionale, responsabile ed evoluta dei fertilizzanti sia una sfida da affrontare insieme a tutto il comparto agricolo, per guardare al futuro dell'agricoltura italiana" ha dichiarato Paolo Girelli, presidente di Assofertilizzanti-Federchimica.
"Siamo fortemente preoccupati del provvedimento che prevede il divieto di impiego dell'urea, poiché non sono stati presi in considerazione i suoi effettivi impieghi e la sua indispensabilità per la filiera cerealicola italiana. Oggi l'industria è inoltre capace di fornire soluzioni innovative in grado di mitigare gli impatti ambientali dell'urea, nonché una serie di prodotti complementari, assicurando agli agricoltori una cassetta degli attrezzi completa per le più svariate esigenze colturali - ha proseguito Girelli -. La complementarità nell'uso di tutte le tipologie di fertilizzanti rappresenta un principio fondamentale che la nostra Associazione promuove da sempre. Solo attraverso un approccio equilibrato e scientificamente fondato possiamo garantire agli agricoltori un ventaglio completo di strumenti produttivi, evitando restrizioni ingiustificate che rischierebbero di compromettere la competitività delle imprese agricole".
Le richieste del mondo agricolo
Confagricoltura, Cia, Coldiretti: le associazioni presenti hanno lanciato un messaggio chiaro. Nessuno contesta gli obiettivi ambientali, ma serve realismo. Servono tempi compatibili, investimenti, formazione e ricerca.
"Come Confederazione, insieme al presidente Cristiano Fini di Cia, ci siamo confrontati anche prima di questa giornata e stiamo portando avanti tre riflessioni fondamentali" ha affermato Stefano Francia, membro della giunta della confederazione.
Le tre riflessioni riguardano:
- la sostenibilità: che non può essere solo ambientale, ma deve includere anche quella economica e sociale. "In Italia, negli ultimi 10 anni, l'agricoltura ha compiuto importanti passi avanti: basti pensare alla fertirrigazione o all'agricoltura 4.0". Eppure, si continuano a proporre divieti - come quello sull'urea - che ignorano gli sforzi già fatti e rischiano di penalizzare chi ha investito per ridurre l'impatto ambientale;
- le filiere. Il divieto dell'urea comprometterebbe non solo la resa, ma anche la qualità delle produzioni cerealicole, fondamentali per l'alimentazione animale e per l'industria agroalimentare italiana. Si parla di un'area strategica come la Pianura Padana, dove si concentra gran parte del valore dell'esportazione agroalimentare;
- le sfide. La ricerca e l'innovazione porteranno verso "un'agricoltura più sostenibile che può fare qualità con meno, ma oggi non siamo ancora nella condizione per averla" ha aggiunto Francia.
Anche Giordano Emo Capodilista, vicepresidente di Confagricoltura, ha esaminato il settore.
"Oggi il vero paradosso è che all'agricoltura europea - e in particolare a quella italiana - si chiedono sforzi che non vengono richiesti ad altri Paesi, con il risultato che rischiamo di penalizzare la nostra qualità produttiva per poi acquistare commodity da mercati in cui non vigono le stesse regole ambientali e sanitarie. È una contraddizione evidente, che mette in discussione l'equità delle politiche agricole e ambientali.
Questo paradosso non è solo economico, ma anche sociale. Non nel senso in cui spesso lo si intende oggi, ma sociale per le imprese agricole che operano in territori difficili, spesso nelle aree interne, dove si rischia seriamente l'abbandono. E questo tema è centrale: perché l'agricoltura, oltre a essere un comparto produttivo, ha un ruolo strategico nel presidio del territorio e nella coesione sociale.
Se davvero consideriamo questo settore strategico, allora dobbiamo garantirgli gli strumenti per rimanere competitivo, sostenibile e vitale. E questo significa anche poter continuare a utilizzare, con razionalità e innovazione, strumenti agronomici fondamentali per la produttività, come l'urea, affiancati da tecnologie che ne riducono l'impatto ambientale".
"Parlando di attenzione all'ambiente, dobbiamo ricordare che il nostro modello agricolo è già tra i più sostenibili al mondo" ha sottolineato invece Ettore Prandini, presidente di Coldiretti. "L'agricoltura italiana - e più in generale quella europea - rappresenta un punto di riferimento globale. Ma se indeboliamo questo modello, rischiamo di non essere più sostenibili nemmeno dal punto di vista ambientale. Certamente falliremmo sotto il profilo economico, ma anche quello ambientale verrebbe compromesso. È per questo che dobbiamo rafforzare il dialogo con le istituzioni europee.
E proprio sul dialogo con le istituzioni, riguardo al bando dell'urea, Prandini ha sottolineato infatti che "abbiamo chiesto lo slittamento di un anno non per arrivare ad applicarlo l'anno successivo, ma per avere il tempo di ridiscuterlo a livello europeo".