Bando dell'urea, risicoltori in allarme
A partire dal 2028 dovrebbe scattare il divieto di utilizzare l'urea in Pianura padana, con pesanti ripercussioni per il settore agricolo in generale, risicolo in particolare. Di questo si è discusso durante un convegno organizzato da Syngenta nell'ambito di Risò, il Festival Internazionale del Riso 2025 a Vercelli

La risicoltura utilizza l'urea per la crescita delle piante (Foto di archivio)
Fonte immagine: © silvia - Adobe Stock
L'urea è il re dei concimi azotati, ma il suo regno potrebbe presto finire. Nell'ambito del Piano Nazionale per il Miglioramento della Qualità dell'Aria, adottato da Ministero dell'Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste (Masaf) e Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica (Mase), si è decisa la sua messa al bando a partire dal 2028 in tutto il bacino della Pianura padana. Il motivo? L'urea, degradandosi nel terreno, rilascia ammoniaca che volatilizza e va a peggiorare uno degli indicatori principali della qualità dell'aria, il PM10 (guarda il reel che abbiamo realizzato sul tema).
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Oggi l'urea soddisfa circa il 12% del fabbisogno di azoto delle colture italiane e il Nord Italia è l'area che ricorre con maggiore frequenza a questo fertilizzante, cruciale in tante colture, dal grano al riso. E proprio degli impatti che questo divieto avrà sul riso si è parlato durante un convegno organizzato da Syngenta nell'ambito di Risò, il Festival Internazionale del Riso che si è tenuto a Vercelli dal 12 al 14 settembre 2025.
Sul palco Marco Romani, responsabile del Dipartimento di Agronomia e Difesa della Coltura dell'Ente Nazionale Risi, Mauro Coatti, head of Technical Support di Syngenta Italia, e Manuel Isceri, direttore di Federchimica Assofertilizzanti.
Da sinistra a destra: Tommaso Cinquemani (AgroNotizie®), Manuel Isceri (Federchimica - Assofertilizzanti), Marco Romani (Ente Nazionale Risi) e Mauro Coatti (Syngenta)
(Fonte foto: Syngenta)
Urea, la chiave di volta della nutrizione del riso
Tutti sono utili, nessuno è indispensabile. Se questa frase è vera per le persone, lo è anche per i fertilizzanti. Ma nel caso dell'urea il suo ruolo è talmente strategico da risultare difficile da sostituire, a meno di non far lievitare i costi e di complicare la gestione agronomica di una coltura che, crescendo in sommersione, ha delle peculiarità che altre specie non hanno.
Secondo Romani, il fertilizzante che potrebbe prendere il posto dell'urea è il solfato ammonico, che tuttavia ha un tenore di azoto più basso rispetto all'urea (appena il 20%) e un costo decisamente più alto. Altra opzione percorribile sarebbe quella dell'impiego degli inibitori dell'ureasi, che rallentano la degradazione del concime ad opera dei batteri presenti nel suolo e che quindi riducono il rischio di lisciviazione e volatilizzazione. Tuttavia questi prodotti, oltre a costare di più, non possono essere utilizzati con la coltura in sommersione.
Qualcuno suggerisce l'impiego di letame e digestato, due matrici organiche in grado di apportare azoto al suolo, oltre che sostanza organica. Il problema è che tra le province di Novara, Vercelli e Pavia (dove si concentra la risicoltura) questi sottoprodotti sono scarsamente disponibili, non essendoci grandi allevamenti o impianti di biogas.
Certo, si potrebbe ricorrere alle cover crop leguminose, con sviluppo autunno-vernino, da sovesciare magari prima della semina del riso. Ma anche in questo caso si tratta di soluzioni che difficilmente saranno in grado di sopperire alla scomparsa dell'urea, non essendo in grado di fornire l'ammontare di azoto necessario, né di farlo in tempi utili.
Il tunnel dell'urea
Come si può uscire allora da questo cul de sac in cui i ministeri hanno infilato l'agricoltura nel tentativo di rispondere ai rilievi effettuati da Bruxelles sulla cattiva condizione dell'aria in Pianura? Dagli interventi di Mauro Coatti e Manuel Isceri emergono due vie principali. Da un lato puntare su soluzioni innovative, dall'altro spiegare ai decisori politici le peculiarità del territorio e della coltura, per chiedere un ammorbidimento del testo.
Come raccontato da Coatti, anche se Syngenta non è una società che produce concimi azotati è impegnata da anni nello sviluppo di soluzioni digitali in grado di aiutare l'agricoltore a 360°. Un esempio è la piattaforma Cropwise, che grazie alle immagini satellitari è in grado di guidare il risicoltore nella gestione dei suoi campi, anche quando si parla di concimazione, permettendo, ad esempio, il rateo variabile.
Mentre sul fronte delle soluzioni di origine biologica, Syngenta (che ha acquisito Valagro nel 2020) sta lavorando a nuovi prodotti in grado di soddisfare le esigenze nutritive delle colture. L'impiego di batteri azotofissatori, ad esempio, metterebbe le piante di riso nelle condizioni di estrarre dall'atmosfera l'azoto di cui hanno bisogno, senza la necessità di ricorrere a concimi di sintesi.
Quel che è certo è che se davvero dal 2028 l'urea non sarà più utilizzabile, l'operatività delle aziende agricole diventerà molto più complessa e sarà necessario approntare soluzioni innovative, ma soprattutto fare formazione, per permettere agli agricoltori di gestire il cambiamento.
Le imprese produttrici di fertilizzanti, riunite in Federchimica Assofertilizzanti, hanno espresso la propria contrarietà a questo bando. Soprattutto in quanto si potrebbero mettere in campo delle misure di mitigazione ambientale in grado di ridurre l'impatto dell'urea sull'ambiente.
Dire addio all'urea non è affatto banale anche sotto il profilo industriale e macroeconomico. Come ricordato da Isceri, oggi tante imprese lavorano in Italia in questa filiera, che serve anche altri mercati (come quello automotive), e stoppare l'uso agricolo significa mettere in crisi il tessuto imprenditoriale, esponendo l'Italia ancora di più verso i partner esteri, da cui oggi dipendiamo per gran parte dei concimi usati nel Paese.
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