Carciofo

Classificazione coltura: Ortaggi > Ortaggi a stelo
Carciofo - Coltivazione e fertilizzanti consigliati - Colture - Fertilgest
Classificazione botanica
Famiglia: Asteraceae
Genere: Cynara
Specie: Cynara scolymus L.
Il Carciofo (Cynara scolymus L.) è una pianta di origine mediterranea della famiglia delle Asteraceae o Compositae, molto nota fin dall'antichità per i pregi organolettici del suo fiore o capolino.
L'attuale nome volgare in molte lingue del mondo deriva dal neo-latino "articactus" (in alcuni dialetti settentrionali è chiamato articiocco); il nome italiano "carciofo” e lo spagnolo "alcachofa", derivano invece dall'arabo "harsciof".
La coltura del carciofo è diffusa soprattutto in Italia, poi Spagna e Francia, mentre è poco conosciuto in molti altre nazioni.
La maggior parte della produzione commerciale di carciofi è destinata al consumo fresco, il resto all'industria conserviera e dei surgelati.
La coltura del carciofo è diffusa soprattutto nell'Italia meridionale, dove con il risveglio anticipato della carciofaia in estate è possibile anticipare l'epoca delle raccolte all'inizio dell'autunno.
Il carciofo è una coltura pluriennale con un apparato radicale vigoroso che gli permette di esplorare un gran volume di terreno. Esige un terreno profondo, ricco, ben areato e drenato a causa dell’imponente sviluppo radicale e della sensibilità ai marciumi radicali. E’ una pianta molto esigente in acqua e tollera bene la salinità.
Il carciofo resiste abbastanza bene fino a temperature di 0°C. Temperature inferiori possono provocare danni più o meno gravi alle infiorescenze ed alle foglie; a temperature inferiori a -10°C possono essere compromesse anche le gemme del fusto rizomatoso.
Il carciofo risente anche della temperatura molto elevata, per cui la fase del riposo vegetativo è tra la fine della primavera e l'estate.

 

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Un giusto apporto di elementi nutritivi è fondamentale per la produttività della carciofaia, in relazione al notevole sviluppo della vegetazione ed al cospicuo numero di capolini per pianta. Per l’azoto ed il potassio, il periodo di più intensa asportazione coincide con la differenziazione dell’apice caulinare e nel periodo di maggior produzione di capolini.
Ci sono notevoli differenze di fabbisogni tra le diverse cultivar e areali di coltivazione. Si può arrivare anche ad oltre 400 unità/ha di N in Italia meridionale, a causa del più lungo ciclo produttivo e delle maggiori asportazioni.
I capolini (carciofi) rappresentano circa il 30% del materiale asportato dalla coltura. Le foglie ed il fusto vengono reincorporate nel terreno.
Nel complesso una carciofaia produce 50-100 mila capolini ad ettaro, pari ad una produzione in peso di 6-10 ton/ha di carciofi, con punte di 12 ton/ha per le varietà più produttive.
Il carciofo è una coltura pluriennale che accetta volentieri una buona concimazione organica. Il fabbisogno d’azoto più alto si ha durante la fase di forte crescita vegetativa delle foglie, che è soddisfatto sia dalla riserva delle radici che dalla disponibilità del terreno sia dagli apporti di fertilizzanti. Dopo la raccolta dei capolini, un apporto d’azoto permette la ricostituzione delle riserve per l’anno successivo.
Le piante reagiscono rapidamente alla concimazione azotata acquisendo un maggiore rigoglio vegetativo in conseguenza di un elevato ritmo di accrescimento e una colorazione fogliare più verde. L’eccessiva disponibilità di questo elemento nutritivo, tuttavia, ritarda l’ispessimento della parete cellulare, favorendo la formazione di tessuti teneri e acquosi, che sono maggiormente soggetti agli attacchi di funghi, batteri e insetti e ai danni determinati da condizioni meteorologiche sfavorevoli, quali siccità e abbassamenti termici.
Al maggiore accrescimento vegetativo della pianta, indotto da un’abbondante concimazione azotata, spesso fa riscontro una diminuzione della precocità di produzione dei capolini e un ritardo nell’entrata in quiescenza della carciofaia a fine primavera-inizio estate.
L’azoto, a causa delle note perdite per dilavamento, provocate dalle irrigazioni e dalle piogge abbondanti, va somministrato in modo frazionato.

 
Il fabbisogno di fosforo per il carciofo è basso, ma al contrario dell’azoto non è suscettibile a dilavamento. La concimazione fosfatica, influenza particolarmente la precocità e migliora le caratteristiche di qualità dei capolini, soprattutto nei terreni carenti di questi elementi nutritivi. Nei terreni calcarei o a pH superiore a 7, si consiglia di aumentare l’apporto di fosforo frazionato in forma solubile, magari attraverso la fertirrigazione.
Il potassio è l’elemento più utilizzato, soprattutto nella fase di formazione e di emissione dell’infiorescenza. Secondo la disponibilità del terreno, il carciofo ha la capacità di utilizzare il sodio al posto del potassio. Questo è il caso dei terreni salmastri come spesso troviamo nei litorali italiani dove si coltiva il carciofo.
Il potassio è un elemento in genere ben presente nei terreni coltivati a carciofo. Pertanto, l’uso dei concimi potassici si riduce al mantenimento di un buon livello della componente facilmente assimilabile dalla pianta.
Il solfato di potassio (50% di K2O) è il concime potassico di maggior pregio. Infatti, l’apprezzabile presenza di zolfo (44% di SO3), grazie all’assenza di cloro se ne consiglia un impiego agevole e consono alla gran parte dei terreni coltivati a carciofo. Il cloruro di potassio (60% di K2O), per la presenza del cloro, è invece poco consigliabile, soprattutto quando si fa ricorso ad acque irrigue ricche di cloro e con alta conducibilità elettrica “EC”.
Calcio e Magnesio spesso vengono indicati come macroelementi secondari poiché, generalmente, sono presenti nel terreno e nell’acqua di irrigazione in quantità sufficiente a soddisfare le esigenze delle colture, per cui solo raramente è necessario intervenire con delle specifiche somministrazioni per aumentarne la disponibilità.
Le asportazioni di questi elementi, seppure significative come nel caso del calcio (oltre 150 kg/ha) e del Magnesio (40 kg/ha), sono, infatti, normalmente reintegrati attraverso l’impiego di concimi come il nitrato di calcio ed il solfato di magnesio.
Una buona concimazione di fondo all’impianto, permette un buon sviluppo dell’apparato radicale e pone le premesse base per il successo della coltura. In assenza di letame ci si orienta su un buon fondo di fosforo e potassio.
Una leggera concimazione azotata (30-50 unità di N) può essere necessaria dopo l’impianto per favorire lo sviluppo vegetativo delle foglie.
Concimazione annuale: Tenendo conto del fatto che una gran parte degli asporti ritornano al terreno con l’interramento dei residui colturali possiamo indicare un apporto autunnale di solo fosforo e potassio. L’apporto d’azoto dovrà essere effettuato in funzione della vigoria della vegetazione. Un apporto di 100-150 unità dovrà essere frazionato tra l’autunno e la primavera. Qualora i residui colturali siano stati portati fuori del campo, le concimazioni dovranno essere raddoppiate.
 
Concimazione fogliare e fertirrigazione
La distribuzione dei concimi può essere effettuata in buona parte con la fertirrigazione ed in parte anche per via fogliare. In entrambi i casi debbono essere utilizzati concimi perfettamente solubili. Pertanto, la scelta del prodotto deve essere particolarmente oculata, anche in considerazione del fatto che il mercato offre numerosi preparati.
L’impiego di concimi fogliari serve solo a correggere momentaneamente disfunzioni o carenze nutritive di microelementi e non ad alimentare sistematicamente le piante con macroelementi. In ogni caso, la correzione di eventuali deficienze di microelementi è bene effettuarla dopo aver analizzato il terreno e le foglie. A tal fine, è opportuno ricordare che l’eventuale integrazione fogliare ha un’efficacia solo momentanea e che per eliminare la carenza si deve intervenire con una correzione del terreno.
Con la fertirrigazione si distribuiscono i concimi organici o minerali sciolti nell’acqua di irrigazione, aumentando notevolmente l’efficienza di entrambe le tecniche colturali. Negli ultimi anni, la diffusione della microirrigazione nella coltivazione del carciofo ha favorito l’interesse degli agricoltori verso questa tecnica. Un limite all’adozione delle fertirrigazioni nel carciofo è rappresentato dalla difficoltà di intervenire nei periodi invernali piovosi.
La fertirrigazione, invece, è facilmente realizzabile durante i periodi estivi siccitosi nelle carciofaie risvegliate precocemente con l’irrigazione.
Va visto anche con interesse il suo utilizzo in coltura biologica, dove il controllo delle piante infestanti a mezzo pacciamatura con film plastico non consente la distribuzione tradizionale dei concimi.
 
Irrigazione
L’irrigazione è uno degli strumenti colturali più importanti insieme alla fertilizzazione, ai fini dell’anticipo di produzione del carciofo in autunno nelle aree meridionali. Le irrigazioni iniziano in luglio-agosto e proseguono fino ad ottobre, ma in alcuni casi anche in novembre. La prima irrigazione richiede un volume di acqua di circa 600-1000 m3/ha in funzione del tipo di terreno. Le successive irrigazioni si mantengono su valori pari a 300-500 m3/ha. In totale, il volume stagionale si aggira su 3-4000 m3/ha.
 

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