2025
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Fertilizzanti, è l'inizio di una nuova stagione difficile?

Dazi su concimi da Russia e Bielorussia, uso dell'urea e nuove regole ambientali mettono sotto pressione il comparto. A fare il punto su scenari e prospettive è Mariano Alessio Vernì, vicepresidente di SILC Fertilizzanti

Fertilizzanti, è l'inizio di una nuova stagione difficile? - le news di Fertilgest sui fertilizzanti

Il mercato dei fertilizzanti tra nuove regole, dazi e sfide per la sostenibilità (Foto di archivio)

Fonte immagine: © Kdhtdg - generata con Ia - Adobe Stock

Nuovi dazi, vecchie tensioni. 
Il mercato dei fertilizzanti torna sotto la luce dei riflettori: dopo i rincari del 2022 e le difficoltà legate alla crisi energetica, arrivano i dazi su alcuni concimi da Russia e Bielorussia. E con loro, nuove preoccupazioni su prezzi, forniture e regole ambientali sempre più stringenti.


Chi rischia di più? Ancora una volta gli agricoltori, che devono destreggiarsi tra costi di produzione in crescita e nuove strette normative che complicano il lavoro in campo.
Per fare chiarezza sul comparto, AgroNotizie® ha intervistato Mariano Alessio Vernì, vicepresidente di SILC Fertilizzanti Srl che ha scritto varie volte per la nostra testata.

 

SILC Fertilizzanti è una società italiana che offre servizi di natura regolatoria e di informazione logistico-commerciale relativamente al comparto fertilizzanti e altri mezzi tecnici (corroboranti, sostanze di base, etc...).

 

Tra dazi, urea e scenari futuri: l'analisi di Mariano Alessio Vernì

Lo scorso primo luglio sono entrati in vigore i dazi doganali su alcuni concimi provenienti da Russia e Bielorussia, quali sono le conseguenze per il mercato italiano?

"Innanzitutto è importante valutare la quota dei concimi importati dalla Russia. Nel 2024 è stata di circa il 13% sul totale dei concimi che giungono in Italia dall'estero, tuttavia si passa da una modesta quota (10%) dell'urea a oltre il 40% dei composti (NPK), mentre il Dap (18/46) e il Map (11-52) valgono circa un terzo dell'import italiano.


Dopo l'entrata in vigore dei dazi aggiuntivi, per l'urea non ci saranno particolari problemi a rimpiazzare i fornitori russi, mentre negli altri casi il mercato dovrà fare i conti con un aumento dei prezzi. Fino a luglio 2026 il dazio è tra 40 e 45 euro/tonnellata e potrebbe anche darsi che, per non perdere quote di mercato, i produttori decidano di ridurre i prezzi per allinearsi a quelli della concorrenza ma, nel giro di tre anni, si arriverà a importi tra 315 e 480 euro/tonnellata, che non potranno certo essere assorbiti dai produttori.

 

Non possiamo scartare l'ipotesi che i produttori di Paesi non interessati dai dazi aumentino i prezzi proprio per approfittare del momento. Le fortissime speculazioni sui valori dell'urea nel 2022 (prima l'inizio della guerra in Ucraina e dopo la crisi energetica) furono la chiara dimostrazione che, in concomitanza delle difficoltà di mercato, anche chi non viene direttamente colpito dalla crisi, approfitta della situazione.

 

Relativamente all'urea, le importazioni 2024 furono assicurate per due terzi da Egitto e Algeria. Non è difficile pensare ad un aumento della quota di mercato da parte di questi due Paesi.

Per quanto concerne i concimi Dap e Map, sono ancora i Paesi nordafricani (Marocco e Tunisia) a contendere il primato alla Russia. Si tratta, inoltre, di concimi NP che, a causa della componente fosfatica, non sono prodotti nell'Unione Europea poiché non ci sono giacimenti. Di conseguenza, anche in questo caso, non crediamo che l'Ue possa trarre alcun beneficio.

 

Caso diverso, infine, è quello degli NPK, in cui la Russia è al primo posto ma è seguita da Belgio, Germania, Croazia e Spagna, e in cui anche un aumento della produzione nazionale potrebbe sopperire a un eventuale calo degli arrivi di merce dall'estero".

 

 

Il "Piano di azione per il miglioramento della qualità dell'aria" approvato in Consiglio dei Ministri lo scorso 20 giugno prevede alcune limitazioni all'impiego di urea in agricoltura, si temono ripercussioni sui consumi di questo tipo di concime?

"Premetto che non ho avuto la possibilità di leggere il 'Piano' e che, relativamente all'urea, l'unico documento che si trova in rete è il parere della Conferenza Unificata Stato-Regioni in cui si chiede al Governo di 'consentire l'uso dell'urea in agricoltura per la durata dell'attuale programmazione dello sviluppo rurale'. Sembra quindi che fino al 2028 non accadrà nulla di irreparabile.

 

Quello che non è chiaro è se davvero si prevede il divieto totale d'impiego di urea (si trovano affermazioni in tal senso in riferimento alla Pianura Padana) oppure, come si leggeva appena 3 anni fa nel programma nazionale di controllo dell'inquinamento atmosferico, se l'urea si potrà comunque usare ma o previo immediato interramento o quando trattata con gli inibitori.

 

Gli studi del 2021 dimostrarono come, nel primo caso, le riduzioni di emissioni di ammoniaca oscillassero tra il 50 e l'80% in funzione della profondità d'interramento, della tessitura e dell'andamento climatico e che gli inibitori dell'ureasi consentissero una riduzione del 70% di emissioni per l'urea solida.

 

Ritengo quindi che prevarrà il buon senso e che, al di là dei sensazionalismi di alcuni titoli, tra due anni l'urea troverà comunque applicazione anche se, entro il 2030, arriveremo ad una riduzione dei consumi di circa il 20-25% seguendo il trend già consolidato da alcuni anni".

 

Crede che il "Green Deal" possa incidere sui prezzi dei concimi e, di conseguenza, sui costi di produzione sostenuti dagli agricoltori?

"La regola generale è sempre: chi inquina paga. Resta poi da capire se le cifre pagate - vuoi per inquinare davvero (tipo le emissioni di anidride carbonica), vuoi per favorire l'agricoltura biologica ritenuta a basso impatto - vadano ad incidere sui prezzi di vendita e, quindi, sugli utilizzatori finali. Alcuni degli attuali e futuri 'balzelli' legati al mondo della fertilizzazione fanno sicuramente aumentare il prezzo al consumo.

Pensiamo ad esempio al contributo annuale per la sicurezza alimentare che, dal 2007, grava per il 2% su alcuni concimi da sintesi e che è in parte destinato a finanziare il fondo per lo sviluppo della produzione biologica, sin dal primo passaggio lungo la catena distributiva costituisce un costo aggiuntivo che fa aumentare il valore sia del fertilizzante tal quale sia quando si usa come materia prima per la produzione di altri concimi.

 

Ben maggiore sarà l'impatto determinato dal Regolamento Ue 2023/956 (Cbam) che istituisce un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere la cui applicazione concreta inizierà nel 2026 per essere a regime nel 2034. Tutte le importazioni di concimi contenenti azoto (semplici e composti) saranno gravate dal pagamento, da parte del primo responsabile dell'immissione in commercio nell'Ue, di un costo legato alle emissioni di CO2 nel Paese di produzione. Le cifre di cui parliamo sono di tutto rispetto poiché il prezzo dell'anidride carbonica oggi vale oltre i 70 euro/tonnellata dopo aver sfiorato i 106 euro/tonnellata nel febbraio 2023.

 

In Italia i concimi importati, coinvolti dal Cbam, equivalgono ad oltre 2,2 milioni di tonnellate di CO2 emesse nei Paesi di produzione e, visto che al momento non c'è alcuna tassa in quei Paesi, saranno gli importatori italiani a doversi fare carico di una spesa che nel 2034 supererà i 160 milioni di euro ma che già dal 2026 andrà gradualmente a gravare sul prezzo finale pagato dagli agricoltori".

 

In considerazione della situazione socio-politica internazionale e dell'instabilità degli equilibri che si erano faticosamente creati a livello mondiale, quali possono essere gli effetti sul comparto fertilizzanti?

"I nutrienti principali (azoto, fosforo e potassio) possono essere ritenuti tutti e tre collegati ad attività estrattive.

L'azoto si produce con l'energia (petrolio, gas, carbone, ecc.), la principale fonte di fosforo è la roccia fosfatica, relativamente al cloruro di potassio è quasi tutto da miniera (sottoterra o sotto la superficie di mari interni). Si tratta quindi di materie prime che sono concentrate in pochissime zone del mondo.

Relativamente all'azoto, ogni crisi legata ai costi energetici ha comportato aumenti di prezzo proporzionali, se si guardano i grafici dei valori di petrolio, gas naturale ed urea o ammoniaca si notano evidenti similitudini. In ordine di tempo l'ultimo picco lo possiamo collocare a fine estate 2022, il gas naturale valeva oltre 300 euro/MWh e l'ammoniaca superò i 1.000 dollari statunitensi/tonnellata, oggi, col gas a circa 33 euro, l'ammoniaca sfiora i 300 dollari statunitensi.

 

Durante la recente crisi Israele-iraniana si è tanto parlato dei rischi legati all'eventuale chiusura dello stretto di Hormuz, pensiamo che circa il 25% dei traffici mondiali di urea ed un terzo di quelli dell'ammoniaca, transitano in quell'area. Non a caso furono immediate le ripercussioni sulla produzione d'urea egiziana che a fine giugno ha subìto una fermata.

 

Basta poi pensare a quali sono i Paesi e le aree in cui si concentrano le miniere di roccia fosfatica, per rendersi conto di quanto sia importante la stabilità geo-politica per non far aumentare i prezzi dei concimi; si tratta di Marocco, Tunisia, Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Siria, ecc. In queste settimane si riscontrano enormi difficoltà di approvvigionamento di concimi a base fosfatica come anche gli NP.

 

Un cenno, infine, al potassio le cui miniere sono collocate anche in Canada, Germania, Spagna e quindi le produzioni del Mar Morto, in caso di crisi, incidono solo parzialmente sui prezzi pagati dagli agricoltori".

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