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Lo iodio che serve alle piante

Abbiamo intervistato il professor Pierdomenico Perata della Scuola superiore Sant'Anna di Pisa che, insieme a ricercatori del Cnr di Pisa e di Napoli, ha scoperto e pubblicato il ruolo dello iodio per la fisiologia delle piante

Lo iodio che serve alle piante - le news di Fertilgest sui fertilizzanti

Piantine di pomodoro, una delle specie coltivate su cui sono stati condotti gli studi (Foto di archivio)

Fonte immagine: © EduardSV - Adobe Stock

Lo iodio è un elemento importante per il nostro organismo, fondamentale per il corretto funzionamento della tiroide, tanto che esiste addirittura una legge, la legge 55 del 2005, che impone di mettere a disposizione nei negozi di alimentari e nelle mense pubbliche il sale iodato proprio per contrastare le carenze di iodio, soprattutto nelle zone interne del paese.

Ma alle piante lo iodio serve? Oggi iniziamo a capire che sì, serve. Un recente studio portato avanti dalla Scuola superiore Sant'Anna di Pisa, insieme all'Istituto di fisiologia clinica Cnr di Pisa e all'Istituto per il sistema produzione animale in ambiente mediterraneo del Cnr di Napoli, e pubblicato sulla rivista Frontiers in Plant Science, ne ha infatti mostrato l'importanza.

Una scoperta che potrebbe aprire anche nuove prospettive nella fertilizzazione delle colture.

Per capire meglio cosa è stato fatto e quale è il ruolo dello iodio nelle piante e che ruolo potrebbe avere per le coltivazioni abbiamo intervistato il professor Pierdomenico Perata della Scuola superiore Sant'Anna di Pisa.

Professore perché avete deciso di indagare il ruolo dello iodio nella biologia e nella fisiologia delle piante?
"Prima di tutto perché ci sembrava del tutto improbabile che un elemento così importante a livello evolutivo, il cui ruolo funzionale è stato dimostrato in organismi distantissimi tra loro, a partire dagli invertebrati fino ad arrivare all'uomo, non avesse un ruolo specifico anche nel regno vegetale, cosa che fino ad oggi non era stata dimostrata. In più, sappiamo che nelle piante l'assunzione dello iodio è finemente regolata: i vegetali sono in grado di assorbire questo elemento attraverso foglie e radici, accumularlo in maniera preferenziale in diversi organi ed addirittura sono capaci di volatilizzarlo nell’atmosfera attraverso un fine meccanismo di regolazione genica.

Infine, sappiamo dalla letteratura che trattamenti esogeni con iodio possono comportare vantaggi per la pianta sia a livello di crescita sia nella tolleranza verso vari fattori di stress, come ad esempio la resistenza alla salinità. A partire da queste tre evidenze (ruolo evolutivo, sistema di regolazione nella pianta e vantaggi per il suo sviluppo) abbiamo quindi costruito la nostra ipotesi".
Pierdomenico Perata
Il professor Pierdomenico Perata della Scuola superiore Sant'Anna di Pisa

Davvero fino ad oggi non c'erano evidenze dell'importanza di questo elemento per le piante?
"Direi di no. La maggior parte della letteratura disponibile relativa allo iodio e alle piante è finalizzata alla biofortificazione, ovvero alla possibilità di incrementare il contenuto di iodio all'interno di frutta e verdura destinata al consumo umano o animale. L'obiettivo della biofortificazione è quello di garantire una fonte alimentare di iodio alternativa, o quantomeno integrativa, all'utilizzo del sale iodato, la cui assunzione può dimostrarsi dannosa ad esempio nei soggetti cardiopatici o ipertesi.

Come dicevo, nell'ambito di questi studi, è emersa la possibilità di favorire la fitness della pianta attraverso trattamenti a base di iodio. Tuttavia, la maggior parte di questi lavori è di tipo descrittivo, ovvero si riporta un effetto senza riuscire a motivarne la causa, cosa che abbiamo provato a fare noi nel nostro studio".
 

Cosa avete fatto in questo studio e cosa avete scoperto?
"Sono stati utilizzati diversi approcci, anche grazie ad un team intedisciplinare. A Pisa Claudia Kiferle e Marco Martinelli hanno coordinato la parte fisiologica, mentre al Cnr di Napoli il gruppo di Andrea Scaloni ha consentito una sofisticata analisi delle proteine iodinate.

In estrema sintesi, abbiamo dimostrato che lo iodio, se somministrato a basse dosi, è in grado di aumentare la biomassa delle piante ed anticiparne la fioritura, modularne in maniera specifica l'attività trascrizionale ma soprattutto, ed è questa la parte più innovativa, abbiamo somministrato iodio radioattivo alle nostre piante ed abbiamo verificato come questo fosse in grado di integrarsi in numerose proteine estratte sia dalle foglie che dalle radici. Le proteine in grado di legarsi allo iodio sono coinvolte in svariati processi fisiologici, tra cui ed esempio quello fotosintetico. Verosimilmente la presenza dello iodio nelle proteine modifica la loro attività. Si può quindi intuire il potenziale impatto che le proteine iodinate possono avere sullo sviluppo e sulla produttività delle piante, essendo la fotosintesi alla base del loro metabolismo".


Il vostro studio è stato fatto su Arabidopsis thaliana, una pianta che è importantissima per i ricercatori tanto da essere diventata il modello biologico di riferimento per la biologia vegetale, ma pressoché insignificante per l'agricoltura, nemmeno come infestante. L'importanza dello iodio è comunque generale per tutte le piante?
"In realtà nel nostro studio abbiamo trattato con iodio radioattivo non solo Arabidopsis, ma anche piante di interesse agrario molto distanti tra loro a livello filogenetico, come ad esempio pomodoro, mais, grano e lattuga. Abbiamo verificato la presenza delle proteine iodinate in tutte queste specie, quindi possiamo ritenere che il processo di iodinazione sia largamente conservato nel regno vegetale. D'altro canto è abbastanza inverosimile che un processo funzionale di questo tipo possa essere specie specifico".

Ma quanto iodio serve alle piante? E nel terreno quanto ce ne è disponibile?
"Alle piante serve poco iodio ed anzi, somministrazioni ad alte concentrazioni possono provocare danni di fitotossicità alle colture. Questo non ci deve stupire ed anzi è la caratteristica peculiare di tutti i microelementi, come il ferro e lo zinco, che sono sostanze essenziali per la crescita e lo sviluppo della pianta ma che vengono richieste a bassissime concentrazioni, nell’ordine delle micromoli. Apporti eccessivi di micronutrienti sfociano tipicamente in fisiopatie di varie entità.

Il contenuto dello iodio nel terreno è molto variabile, dipende dalle specifiche caratteristiche pedoclimatiche della zona che andiamo ad analizzare. Ad ogni modo, qualora volessimo caratterizzare il contenuto dello iodio nei nostri terreni non ci dovremmo far fuorviare dal valore assoluto ottenuto. Non tutto lo iodio presente nel terreno è disponibile per la pianta: solo una parte è solubile nella soluzione circolante del terreno e la percentuale maggiore è trattenuta dai colloidi del suolo (adsorbimento da parte di argille e sostanza organica)".


Dal punto di vista agrario, si può quindi pensare già a fertilizzazioni iodate? E se sì come?
"Certo, e sarebbe molto semplice metterle in atto. Basterebbe andare ad integrare lo iodio, ad esempio sotto forma di iodato di potassio, all'interno delle formulazioni commerciali abitualmente usate per la fertilizzazione delle colture.

Credo che fino ad oggi non sia stata rivolta la dovuta attenzione al ruolo dello iodio nella nutrizione dei vegetali perché, come ho detto, la pianta necessita di apporti dell'elemento molto bassi. Lo iodio è più spesso presente nell'ambiente di coltivazione a livelli tali da escludere l'insorgenza di evidenti ed inequivocabili sintomi da carenza. Come si suol dire 'ci accorgiamo dell'importanza delle cose quando solo queste ci vengono a mancare'. Malgrado ciò, la possibilità di ottimizzare l'apporto di iodio attraverso una fertilizzazione mirata e specifica può rappresentare una interessante prospettiva per l'agricoltura al fine di massimizzare le rese delle colture e la loro resistenza nei confronti di fattori di stress di tipo biotico o abiotico".

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