2022
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Fertilizzanti da batteri ed elettricità... due alternative all'urea

Fino ad oggi i concimi azotati di sintesi, come l'urea, sono stati ottenuti grazie all'impiego di combustibili fossili. Ora le cose stanno cambiando. Ecco due metodi alternativi per concimare i campi in maniera sostenibile per le tasche e per l'ambiente

Fertilizzanti da batteri ed elettricità... due alternative all'urea - le news di Fertilgest sui fertilizzanti

I fertilizzanti azotati sono alla base dell'agricoltura moderna (Foto di archivio)

Fonte immagine: © singkham - Fotolia

Ogni agricoltore sa che l'azoto è l'elemento chiave della produttività del campo, visto che rappresenta la molecola che è alla base della crescita di ogni pianta. L'atmosfera terrestre è ricchissima di questo gas, ma le piante non riescono ad utilizzarlo direttamente. Deve essere prima reso biodisponibile, e in natura questo avviene attraverso due meccanismi: la fissazione svolta dai batteri oppure dai fulmini.

 

Le leguminose sono il classico esempio di piante che riescono ad utilizzare l'azoto atmosferico. Come? A livello radicale entrano in simbiosi con speciali batteri che sono in grado di catturare l'azoto gassoso e renderlo disponibile alla pianta, ricevendo in cambio dal vegetale carboidrati per alimentare il proprio sviluppo.

 

I batteri rappresentano lo strumento attraverso il quale circa il 90% dell'azoto atmosferico viene fissato nella biomassa vegetale. L'altro 10% invece raggiunge il suolo attraverso i fulmini. Quando durante un temporale si generano importanti scariche elettriche, l'azoto gassoso si ossida formando ossido di azoto che poi raggiunge il terreno attraverso la pioggia sotto forma di acido nitrico.

 

Sfruttando questi due principi naturali alcune startup stanno tentando di trovare metodi alternativi all'uso di combustibili fossili per rendere l'azoto presente in atmosfera disponibile per le colture.

 

Fertilizzanti dai fulmini, istruzioni per l'uso

La via più suggestiva attraverso la quale l'azoto atmosferico diventa disponibile per le piante è sicuramente attraverso i fulmini. Ma non potendo contare sulla collaborazione delle nuvole, una startup statunitense ha provato a sviluppare una tecnologia in grado di utilizzare l'elettricità per replicare il meccanismo di ossidazione.

 

 

Nitricity ha così messo a punto un sistema che si basa sull'utilizzo di pannelli solari per produrre energia elettrica. Questa viene utilizzata in un impianto pilota per ossidare l'azoto atmosferico e discioglierlo nell'acqua, che alimenta direttamente un impianto di fertirrigazione.

 

Nitricity sta oggi sperimentando il proprio prototipo a Fresno, in California, su due coltivazioni, una di pomodoro e l'altra di peperone. I risultati sono promettenti, ci spiega Nico Pinkowski, ceo di Nitricity, che incontriamo durante il World Agri-Tech Innovation Summit 2022 di San Francisco (di cui AgroNotizie è media partner). Ma le apparecchiature non sono ancora ad una fase commerciale.

 

Il problema, neanche a dirlo, è arrivare alla sostenibilità economica. E cioè fare in modo che il costo di produrre il fertilizzante attraverso energie rinnovabili sia in linea con quello garantito dalla combustione di gas metano.

 

Se però la sperimentazione dovesse avere successo, ogni agricoltore potrebbe avere nella propria azienda agricola un piccolo impianto di produzione di concime, alimentato dall'energia elettrica prodotta da pannelli fotovoltaici, che già oggi, attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), sono fortemente incentivati.

 

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Sfruttare la potenza dei batteri per creare fertilizzanti

Chi invece ha già sviluppato un prodotto a livello commerciale è Pivot Bio, una startup statunitense che ha isolato dei batteri azotofissatori e ne ha potenziato le funzionalità rendendoli in grado di fissare l'azoto atmosferico in maniera efficiente per colture come il mais.

 

Secondo Trevor Jones, Business Development manager di Pivot Bio, che incontriamo durante la convention californiana, utilizzando Proven è possibile fornire alle piante di mais, attraverso i batteri, circa 18 chilogrammi di azoto ad ettaro. Il mais è stato il primo target, ma ora la startup è in procinto di lanciare un prodotto anche per la soia e il grano.

 

 

Ma ci sono anche altre realtà innovative che stanno lavorando con questo obiettivo. Un esempio è Joyn Bio, di Boston, che seleziona consorzi batterici proprio per fissare l'azoto atmosferico in favore delle piante.

 

A questo punto l'agricoltore, invece di applicare fertilizzanti granulari con lo spandiconcime, si limiterà ad applicare al mais la soluzione contenente i batteri attraverso una normale barra irroratrice oppure al momento della semina. Questi microrganismi colonizzano velocemente le radici ricevendo dalle piante carboidrati e fornendo in cambio l'azoto atmosferico in una forma assimilabile.

 

Elemento centrale di questa soluzione è tuttavia l'ingegneria genetica, che non solo permette di avere un'elevata efficienza nella fissazione dell'azoto, ma permette ai batteri di colonizzare ed entrare in simbiosi con colture, come il mais o il frumento, che di solito non instaurano questo tipo di rapporti.

 

L'inizio di una rivoluzione

Il settore dei fertilizzanti si trova nel mezzo di una tempesta perfetta. Da un lato il prezzo dei combustibili fossili ha raggiunto delle quotazioni che rendono la produzione attraverso il gas metano o il petrolio estremamente dispendiosa. E gli agricoltori sanno bene quanto costa oggi 1 quintale di urea.

 

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Dall'altro l'Unione Europea e i consumatori chiedono che l'agricoltura diventi più sostenibile. Che quindi riduca in primis la sua impronta carbonica, legata ad esempio alla produzione di fertilizzanti. E che aumenti la sua efficienza nell'utilizzare le risorse disponibili.

 

Basti pensare che oggi il 3% delle emissioni di gas climalteranti a livello globale è legato proprio alla produzione di fertilizzanti azotati e che per ogni chilogrammo di concime prodotto, sono emessi in atmosfera circa 8 chili di CO2. Se a questo si aggiunge il fatto che spesso una percentuale elevata del prodotto viene dilavata o volatilizza, senza quindi nutrire la coltura, salta gli occhi come sia necessario un cambio di passo.

 

Tra poco non avremo più bisogno dei concimi di sintesi? Non proprio. Siamo all'inizio di una rivoluzione che ha ancora molta strada da fare, ma già si possono vedere i primi risultati in campo.

 

Il primo scoglio da superare è sicuramente quello di rendere questi sistemi economicamente efficienti, nonché di provata efficacia. Le performance dei batteri, infatti, sono influenzate dai fattori ambientali, come la temperatura del suolo o la presenza di altri batteri nel terreno. L'efficienza a livello nutritivo non è quindi paragonabile (per ora) a quella dei concimi di sintesi.

 

Le condizioni per avere fertilizzanti efficaci, ad un costo ragionevole e sostenibili ci sono tutte. L'importante è non eccedere con le promesse perché la strada è ancora lunga, come hanno ricordato i partecipanti ad un panel dedicato l'argomento proprio durante il World Agri-Tech Innovation Summit 2022.

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