2020
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Sostanza organica: gestiamola al meglio

Gli apporti di liquami, letame e digestati da impianti di biogas concorrono alla preservazione della sostanza organica del suolo, quindi alla sua fertilità e stabilità. Meglio però operare nel rispetto dell'ambiente

Sostanza organica: gestiamola al meglio - le news di Fertilgest sui fertilizzanti

La fertilità del suolo dipende dalla sostanza organica: distribuirne tanta, ma bene (Foto di archivio)

Fonte immagine: Donatello Sandroni

L'impoverimento in sostanza organica di molti suoli italiani è fenomeno che preoccupa da molti anni. Soprattutto le aree centro-meridionali di collina, coltivate prettamente a cereali a paglia, sembra patiscano in particolar modo di tale impoverimento, con tutte le conseguenze che vi sono quanto a fertilità del suolo e sua instabilità rispetto a fenomeni erosivi.

Apportare più sostanza organica ai terreni coltivati è quindi pratica irrimandabile se si vuole invertire tale trend negativo. Ciò è possibile attraverso una migliore gestione delle rotazioni, per esempio, ma anche investendo in fertilizzanti organici di origine animale o vegetale da incorporare nel terreno in modo da compensare le perdite di sostanza organica dovute alle asportazioni colturali.

Vi sono invece altre aree geografiche del Belpaese che di sostanza organica a disposizione ne hanno invece fin troppa e che iniziano ad avere difficoltà nella sua gestione. Anche perché in post-distribuzione sui campi si generano flussi di ammoniaca verso l'atmosfera che un impatto ambientale pur ce l'hanno.

La Pianura padana è ovviamente cuore della zootecnia, con una decina di province centrali, a cavallo del Po, che raccolgono in sé la maggior parte degli allevamenti. Con qualche problema.
 

Il caso Lombardia

Secondo i dati Siarl e Istat, elaborati da Arpa Lombardia, le emissioni di ammoniaca dovute alla zootecnia sono soprattutto imputabili agli allevamenti di bovini. Da questi deriverebbero reflui che emetterebbero ammoniaca in ragione del 32% (vacche da latte) e del 25% (altri bovini). Quindi un totale del 57%.

Dai reflui degli allevamenti suini giungerebbe invece ammoniaca in ragione del 32% (bovini da ingrasso) e del 4% (scrofe). Ovvero una somma pari al 36%. Molto marginale invece il contributo degli allevamenti avicoli, con ovaiole (3%), pollastri (2%) e altri avicoli (1%) che contribuirebbero cumulativamente per il 6%.

Ovviamente, più è densa la presenza di allevamenti di bovini e suini più si alza la probabilità di riscontrare elevati valori di ammoniaca nell'aria. Arpa ha monitorato la sua presenza dal 2007 al 2018, scoprendo come per esempio a Corte de' Cortesi, in provincia di Cremona, si sia toccata una concentrazione massima di 710 µg/mc, contro un picco massimo di 84,2 in Cremona città. Anche le medie sono molto differenti, con il paese in provincia che ha mostrato un valore di 56,3 µg/mc mentre Cremona città si è fermata sui 7,5.

Va da sé che la liquamazione e la letamazione dei campi coltivati resta alla base della nutrizione vegetale, così come la sostanza organica da esse trasferita al suolo concorra al mantenimento della sua fertilità e struttura, contrariamente a molte altre zone d'Italia in cui appare drammatico l'impoverimento di matrice organica nei terreni coltivati.

Ciò che quindi diviene doveroso fare è trovare il giusto equilibrio fra concimazioni organiche, rese anche necessarie dalla necessità di smaltire liquami, letame e digestati da parte delle aziende zootecniche, ma minimizzare al contempo gli apporti di ammoniaca in atmosfera.

Questi risultano massimi quando i materiali sono freschi e vengono sparsi con metodi economici, come per esempio le botti da liquame. In tal caso, gli effetti sono molto tangibili anche dal mero punto di vista olfattivo. Una conferma viene in primis da chi scrive, il quale vivendo proprio in provincia di Cremona può testimoniare il frequente bisogno di chiudere le finestre di casa, anziché aprirle.

Lagone di liquame suino irrorato sui campi. Più che una concimazione qui si tratta di vero e proprio smaltimento. Un esempio da non seguire (foto Donatello Sandroni)
Lagone di liquame suino irrorato sui campi. Più che una concimazione qui si tratta di vero e proprio smaltimento. Un esempio da non seguire
(Fonte foto: © Donatello Sandroni)

Ma al di là dei disagi olfattivi, l'aspetto più grave di tali emissioni gassose è che esse concorrono anche alla produzione di particolato sottile di tipo secondario, noto anche come PM2.5. Un tipo di polveri sottili di cui la zootecnia è in effetti fra le origini più cospicue.
 

Il Progetto Ammoniaca

Nel 2018 la Regione Lombardia, in collaborazione con Arpa, ha realizzato alcune prove sperimentali per la valutazione degli effetti mitigatori dell'iniezione sottosuperficiale dei digestati di origine bovina, a confronto con lo spandimento diretto sul terreno.

Quest'ultimo ha prodotto valori di ammoniaca in aria che hanno superato i 1.000 µg/mc in 3 dei 10 punti di campionamento. In uno di questi il valore medio delle analisi si è fissato sui 1.600 µg/mc, con un singolo dato misurato che ha toccato i 1.800. Sopra i 400 µg/mc si sono comunque posizionati 5 punti su 10. I rimanenti 5 sono rimasti al di sotto dei 200 µg/mc.

Esempio virtuoso di iniezione sottosuperficiale di digestato di origine zootecnica. I vantaggi ambientali sono indiscutibili (Foto: Donatello Sandroni)
Esempio virtuoso di iniezione sottosuperficiale di digestato di origine zootecnica. I vantaggi ambientali sono indiscutibili
(Fonte foto: © Donatello Sandroni)

Quest'ultima soglia non è invece stata mai superata dopo la distribuzione dei digestati adottando specifici macchinari per lo spandimento interrato. Segno che la via è ormai tracciata: per mantenere la fertilità del suolo, assicurata già di per sé già dall'ottimo livello di sostanza organica distribuita, e al contempo preservare l'atmosfera è necessario che cambino profondamente le tecniche di concimazione dei campi.

Arpa stima peraltro che una riduzione delle emissioni di NH3 possa comportare un calo del PM2.5 fra il 2,49 e il 3,24% (primavera e autunno). Percentuali che raddoppiano circa in caso la riduzione delle emissioni di ammoniaca arrivasse al 50%.

In conclusione, preservare la sostanza organica del terreno è possibile e, soprattutto, indispensabile. Farlo nel migliore dei modi è divenuto nel tempo irrimandabile.

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